Stiamo infatti parlando della Velella velella, una colonia di polipi che, grazie alla struttura galleggiante dotata di velatura, riescono a “navigare” standosene conglobati assieme e immersi pochi centimetri sotto il pelo dell’acqua. L’organismo è più comunemente noto come “barchetta di San Pietro”, e il fenomeno dello spiaggiamento di massa di un gran numero di esemplari di questa specie è piuttosto comune, casomai solo aumentato da qualche anno nella frequenza.
L’idea di vedere un simile tappeto blu dove solitamente si cammina di sicuro non tranquillizza i comuni osservatori, e il pensiero corre al potere urticante delle meduse preoccupa non poco. Tuttavia, nonostante la Velella sia dotata di nematocisti (gli organuli contenenti il liquido tossico), il loro potenziale è talmente basso da non risultare lesivo per l’essere umano.
Una ragione per temerla c’è tuttavia, infatti questii polipi della Velella si nutrono di uova e larve di pesci che trovano proprio nei primi centimetri di strato d’acqua e in superficie. E l’aumento di questi spiaggiamenti e ritrovamenti di questo genere di polipo non è certamente di buon auspicio per fauna ittica: più velelle, meno pesci!
Ora, se la diminuzione di predatori naturali delle forme medusoidi, come tartarughe, cetacei e gli stessi tonni, insieme a fattori climatici, già incide nel proliferare esponenziale di organismi come Velella, potrebbe in questo modo rischiare di avvitarsi in un processo involutivo senza ritorno ai danni del pesce stesso?